Secondo la nuova versione del Codice dell’impresa, se il venditore fallisce, il compratore deve versare di nuovo gli acconti già saldati.
Da adesso in poi, a chi ha fatto il contratto preliminare di acquisto di una casa sarà vivamente consigliato di passare ogni giorno ad accendere un cero a San Giuseppe, che oltre ad essere il Santo protettore di tutti i lavoratori, lo è anche del settore immobiliare in qualità di falegname e – dicono – di muratore. Nella preghiera quotidiana al Santo, è fondamentale chiedere che il venditore della casa mantenga la sua situazione economica in salute. Perché se, per uno sfortunato motivo, il venditore dovesse fallire, il compratore potrebbe essere costretto a pagare di nuovo a chi subentra una parte degli acconti già versati. Il che si traduce in un concetto molto semplice: se non in toto sì almeno in parte, tocca pagare due volte l’immobile. Anche se si tratta della prima casa, sulla quale a questo punto verrebbero comodamente azzerate le altre agevolazioni previste.
Da dove salta fuori questa storia? Dalla nuova versione del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, al vaglio di una specifica commissione di esperti voluta dal ministro della Giustizia, Marta Cartabia. Uno dei passaggi del nuovo testo parla di che cosa potrebbe succedere se c’è un contratto preliminare di vendita immobiliare e l’impresa (cioè il promittente venditore) salta in aria per un fallimento. Dietro a lui – prevede ora il Codice – potrebbe arrivare un curatore fallimentare. In questo caso, il compratore che ha firmato il preliminare di acquisto mantiene il suo diritto ad avere l’immobile. Ma dovrà pagare per la seconda volta almeno la metà degli acconti versati fino a quel momento.
Non solo: l’acquirente che si è impegnato a concludere l’operazione di compravendita avrà l’onere di provare di aver già pagato degli acconti. Che cosa significa? Che se queste somme fossero già state effettivamente versate ma il compratore non riuscisse a provarlo, dovrebbe pagare tutto di nuovo. Un immobile al prezzo di due: un vero affare. Quando si dice che non bisogna mai buttare via nemmeno un pezzetto di carta, soprattutto se dimostra che è stato fatto un pagamento.
La norma introdotta dalla nuova versione del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (l’ultima versione era quella del 2019) rischia di modificare il nome stesso del provvedimento, che passerebbe a chiamarsi «Codice della crisi e dell’insolvenza dell’acquirente di una casa». In modo particolare se quanto previsto da questa nuova versione colpisce chi si è impegnato a comprare la prima casa. Perché la regola vale anche per loro: la coppia di giovani, che si è decisa a lasciare l’abitazione dei genitori e a comprare un immobile in cui mettere su famiglia, corre lo stesso rischio nel caso in cui il venditore promittente (ma poco promettente) fallisca. Ripagare gli acconti significa dover cacciar fuori un’altra volta dei soldi che, sicuramente, in quel momento erano destinati «giusti-giusti» ad altre necessità (l’eventuale matrimonio, l’arredamento della casa, l’arrivo di un figlio).
Come si giustifica una mossa del genere? Dice la relazione che accompagna il Codice che, in questo modo, si cerca di «bilanciare l’esigenza di tutela del promissario acquirente con la salvaguardia dell’interesse dei creditori», poiché succede spesso che il curatore non trovi nel patrimonio del debitore le risorse che servono a coprire le esigenze del creditore ipotecario. In altre parole: il promissario acquirente deve rispondere alla sua parte del rischio di fallimento pagando due volte almeno la metà di quello che ha già versato.
Certo, tutto ciò desta qualche perplessità. Soprattutto quando si tratta di colpire l’acquirente della prima casa. Una norma del genere rischia di azzerare non solo le agevolazioni fiscali previste per l’abitazione principale ma anche gli sforzi fatti fin qui per difendere i diritti dei consumatori.
fonte laleggepertutti